Il Signore degli Anelli: Dindo Capello

Intervista esclusiva

"Prima di diventare pilota facevo il sognatore"

Parla la leggenda dell’endurance e icona Audi.

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Corre forte Dindo e ogni volta che sale sul podio l’idea di fare il pilota diventa un po’ più concreta. Non è più solo un sogno, è un obiettivo. È chiaro a tutti che ha le doti giuste. Chi lo guarda in pista rimane stupito.“ Quando ho capito che avrei potuto farcela? Probabilmente fin dal primo test con la Formula Fiat Abarth. Non avevo neanche la patente, solo il foglio rosa. Fino a quel momento avevo guidato, come tutti, la Cinquecento della mamma, eppure nell’abitacolo di quell’auto da corsa ho sentito qualcosa. Avevo paura, ma è stato tutto naturale. Spostare l’obiettivo in avanti è stato facile”. Appena prende la patente fa la scuola federale CSAI, oggi Scuola Federale ACI Sport, per diventare pilota. Gli istruttori non hanno dubbi. In tanti gli chiedono cosa avrebbe fatto se non questo. Difficile trovare una risposta. Prima di raggiungere il professionismo fa altri lavori, tutti legati al mondo delle auto. L’istruttore nelle scuole di guida sportiva, poi le gare e con loro le difficoltà, le stesse che hanno tutti i piloti che, come lui, non hanno budget personali o di famiglia. Lì inizia a capire quanto sia difficile, non tanto intraprendere, quanto proseguire quella carriera. L’amore per le gare endurance sbucò all’improvviso, quasi per caso. “ Quando arrivai alla Formula 3, già alla seconda o terza gara partivo in pole position. Potevo fare bene, ma la mia vera battaglia era con i budget. Lì mi sono reso conto che avevo bisogno di un supporto esterno. Un supporto che non ho mai avuto. Ho corso per diverse stagioni perdendo, non dico la voglia, ma la motivazione, quella sì".
Dopo tre anni, mentre spera di trovare l’auto giusta, il team giusto, alcuni colleghi più fortunati di lui fanno il salto alla Formula 3000. Alcuni addirittura alla Formula 1. Le cose però stanno per cambiare.“ Mi arrivò un’offerta da Emilio Radaelli, che era molto conosciuto nel mondo dei rally. Stava debuttando con il suo team nel campionato Turismo. A quei tempi non era il mio obiettivo, non pensavo di passare alle vetture a ruote coperte, ma con il senno di poi è stata la mia fortuna”. Quella è la scintilla, ma la svolta vera della sua carriera arriva nel 1994. Audi non aveva mai corso in Italia fino a quel momento, ma quell’anno decide di partecipare al Campionato italiano superturismo. Il pilota ufficiale Frank Biela si infortuna ed Emilio Radaelli viene incaricato di trovare un sostituto. Dindo aveva impressionato tutti durante un test a Monza, quindi la scelta è scontata. Nel 1996 Capello, con Audi, si aggiudica la vittoria del campionato. Arriviamo alla 24 Ore di Le Mans. Cosa significa fare una gara endurance?
“Nelle gare sprint, che siano monoposto o Turismo, corri per te stesso. Anche il tuo compagno di squadra è un avversario. Nelle gare endurance occorre cambiare completamente atteggiamento. Nessuno deve emergere. Questa è la più grande differenza rispetto alle gare che avevo fatto fino al giorno prima. La mia indole è sempre stata quella del team player, mettevo la squadra davanti a tutto. In monoposto, a prescindere dai problemi economici, se fossi stato un po' più egoista forse avrei ottenuto qualcosa di più. Nel mondo dell'endurance mi sono trovato immediatamente a mio agio. Anche oggi, che faccio un altro mestiere, quello che ho imparato lo porto in azienda e cerco di trasferirlo a chi collabora con me. Le gare endurance sono una scuola di vita, ti insegnano che puoi essere il migliore di tutti, ma per ottenere il risultato devi giocare in squadra”. Oggi Dindo Capello non corre più in pista ma è presidente di un gruppo di concessionarie Audi. Il legame con la casa automobilistica tedesca non si è mai interrotto. Arrivato da professionista non se n’è più andato e ancora oggi è ambassador del brand. “Noi piloti eravamo coinvolti in tante attività, anche al di fuori del circuito, ed è lì che mi sono reso conto della metodologia di lavoro. Ho fatto la prima gara con l'Audi 80, l'anno successivo Audi passò all'A4. Era un cambio di strategia e di politica aziendale enorme. Volevano diventare un marchio premium, cosa che poi è successa velocissimamente. Innamorarmi è stato facile, così anche quando ho smesso di correre sono voluto rimanere legato al brand. Sia come ambassador, sia dal punto di vista imprenditoriale. Tutto quello che Audi mi ha dato l'ho reinvestito nelle aziend e delle quali oggi sono il presidente”.

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